Quando non c'era il tempo
Se l'umano ha un senso, è perchè sa raccontarsi. In
principio, quando ancora le cose non erano, almeno in questo frammento
dell'essere, narrato da Esiodo,
Abisso spalancava il proprio Caos. Nessuno aveva ancora detto le cose.
Nel profondo mistero di questo tutto-nulla, si manifestarono i larghi fianchi
di Gaia e l'indicibile che attrae e respinge, Eros. La passione che unisce e
genera, raccolse, divise e scelse con logica, e prima ci furono sole e
montagne, ninfe e mare, e poi Urano, il cielo, che con la notte avvolse Gaia e
diede vita al tempo.
Il resto è noto. Le cose che sorgono hanno un nome, sono il
bene ed il male, gli enti, gli esistenti che nascono e muoiono. Narrarli,
spiegarli, è ancora compito umano che coinvolge l'antico mistero del dire e del
narrare, l'ars poetica che fa essere simbolicamente le cose.
Nel tempo, il
racconto si fa composizione e le divinità più possenti sono maschie. Il fare
prende il posto del manifestarsi. La creazione ed il suo opposto, la distruzione,
divengono le idee con cui il mondo si forma. L'indistinto, diventa potenza
dell'Io che sa, pensa, nomina e fa essere.
Il mistero profondo viene indagato, sfidato, riprodotto,
moltiplicato, negandone l'originalità e frantumandolo nell'infinita moltiplicazione
di se stesso.
Semi archetipali del non-tempo che era, prima che le cose
fossero, rimangono nell'arte e nella parola. Gameti generativi che chi non si
accontenta intuisce, chiamandoli stupore, poesia, scienza. Cellule germinali
che alludono ancora al nascosto, al non spiegato, simboli del non distinto che
si fa possibile: quando il pensiero umano si occupa di questo, al di là del
fatto che a farlo sia un chimico, un artista, un ingegnere, un pazzo o un
sacerdote, la narrazione attinge
all'inconsapevole, intuitivo, prima del tempo. I primi che provarono a dirlo,
lo composero femmina, dea madre.
L'originante era oscuro uterino, segreto che diviene forma e
sostanza. Il suo farsi era corpo opulento, generativo. Gonfie embrionalità
declinate per millenni, se da sempre ci interroghiamo sul fatto che le cose che
sono, possono anche non essere.
L'ottavo episodio di Locus Animae, riaffermando l'idea di un
luogo in cui l'anima riflette su se stessa e sul proprio modo di manifestarsi,
ritorna alla chance, alla possibilità di attingere ad un oscuro sapere,
primigenio e primitivo, forza che precede l'era dei fabbricanti di universi.
Perchè l'umano ha un senso, solo quando si racconta.
Aldo Trivellato
In occasione di Locus Animae, Jesolo, luglio 2013
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